Carte rimescolate

Quest’estate sono tornata a Matera: confermo di essere innamorata perdutamente di quella città. Passeggiare in mezzo ai sassi mi riempie e svuota allo stesso tempo: mi invadono la bellezza, la storia e un’energia inspiegabile, forse spirituale, mistica. E vengo svuotata da quanto di negativo mi sono, accidentalmente, portata dietro. Potrei stare ore a guardare i suoi scorci, il cambio di colori a mano a mano che si susseguono le ore del giorno, le strade quiete, i vicoli assolati. Ho desiderato fortemente un piccolo bilocale nei sassi, me lo sono figurata arredato in maniera semplice e con armonia, ho immaginato di vivere lì, percorrendo quell’intrico di strade e scalini che a mano a mano sarebbero diventate famigliari, di cui avrei imparato a conoscere segreti e scorciatoie. Ho pensato agli amici che sarebbero venuti a trovarmi, perché la bellezza porta con sé il desiderio di condivisione. Custodisco nel cuore la gentilezza delle persone, un’ospitalità talmente generosa da essere contagiosa, da farmi diventare in qualche modo più buona. E i sapori, i piatti semplici della tradizione lucana, la convivialità, il piacere di stare a tavola a lungo, gustando e chiacchierando. Scoprire delizie non solo seduti in un ristorante dei sassi, ma anche mangiando una semplice focaccia al pomodoro in piedi fuori da un forno.  Mentre macinavo chilometri in giro per la Basilicata pensavo a quanto vorrei una vita borghese: una casa mia, piccina e bella, la possibilità di concedermi quanto mi piace senza pensarci, che sia una cena, un libro, uno spettacolo a teatro, un cinema, una vacanza, un vestito, un paio di scarpe. Come mi ha fatto notare qualcuno, io la definisco “borghese”, ma in fondo in fondo non è altro che una vita media in linea con le aspettative e le speranze di chi è nato negli anni Ottanta. Credo di usare quella definizione per segnare una netta differenza con la vita comunitaria (alternativa, e appena un po’ freakkettona) che ho provato a sperimentare negli anni passati e il cui lento sgretolamento mi ha segnata profondamente.
Questo pensavo nel corso dei primi giorni di agosto, nei giorni di vacanza che avevo programmato da tempo.

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Poi è arrivata la parte di vacanza improvvisata, ovvero la visita a mio cugino che vive in un ecovillaggio in mezzo agli ulivi in Puglia, fondato quattro anni fa insieme alla sua compagna. Sono andata diverse volte a trovarli, la prima quando stavano dando vita al progetto e poi tutti gli anni seguenti, in cui ho potuto osservare il progredire dei lavori, non solo esteriori rispetto al luogo, ma anche interiori delle persone che lo abitavano. Quando dico ecovillaggio intendo una modalità di vita che più ecologica non si può, a meno di non essere un indigeno di qualche tribù non ancora scoperta della foresta amazzonica: è un villaggio “diffuso”, nel senso che non si compone di case e strutture abitative come siamo soliti pensarle, ma di spazi comuni come la cucina (dove viene preparato il cibo e si mangia in inverno o le sere d’estate), il Circo (un bel tendone grande utile per molte attività, dallo yoga ai corsi vari che si tengono lì), il bagno, le docce e le compost toilet. Per dormire la scelta e la varietà è ampia: chi in yurta, chi in una casa sull’albero, chi in una roulotte, chi nella casa di paglia, i visitatori di breve periodo in tenda o in camper, o anche – con la bella stagione –  su un’amaca appesa tra un ulivo e l’altro, sotto le stelle. La poca elettricità utilizzata viene da pannelli solari, l’utilizzo di detersivi completamente bio viene smaltito con la fito-depurazione, i piatti si “insaponano” con la cenere o con una sapone fatto con limoni e sale. L’alimentazione è prevalentemente vegan, puntano all’auto-sostentamento alimentare e quello che manca lo comprano bio da un contadino loro amico. Un ottimo modo di fare la spesa quando si è giù è la raccolta, in particolare di frutta, nei frutteti abbandonati o negli alberi stracarichi di frutti che nessuno mangia lungo le strade, per non parlare poi delle erbe spontanee, conosciute e raccolte in gran quantità.

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Insomma, è chiaro cosa avevo in testa quando sono arrivata lì: VOGLIO UNA VITA BORGHESE, belle le freakkettonate, ma per periodi di tempo limitati. Pensavo di fermarmi cinque giorni, il tempo di stare un po’ con mio cugino e vivermi la vita del villaggio. Sono venuta via a malincuore dopo quasi due settimane, con le carte  completamente rimescolate e insieme a loro tutti i miei pensieri. Sarà stato il momento giusto, sarà stato l’incrocio casuale (casuale?) di tante belle vite (eravamo circa una ventina), ma giorno dopo giorno mi trovavo sempre più a mio agio in quella dimensione, molto più di altre volte in cui sono scesa con animo assai più freakkettone. Quelle apparenti scomodità (fare la pipì all’aperto, servirsi per il resto delle compost toilet senza l’uso – o limitandolo moltissimo – di carta igienica, lavare i piatti con la cenere, svuotare i secchi del risciacquo, pulire i chicchi di grano da macinare per fare pane e pizze, dover fare un bel pezzo di stradello dalla casa di paglia in cui dormivo al primo punto in cui poter avere acqua corrente, lavare verdure e tutto il resto facendo attenzione a consumare meno acqua possibile, fino all’annaffiatura dei nuovi alberi da frutto piantati nella parte alta dell’uliveto coi secchi trasportati a braccia) sono diventate velocemente la normalità del mio modo di vivere e in quella normalità mi sono sentita benissimo, ero io, ero a mio agio, ero a casa. Gli incontri con le persone poi, le storie scoperte, le amicizie nate, le parole date e ricevute, i sorrisi, l’allegria, il bene, la condivisione e la sensazione di vivere ogni giorno un’avventura piena e bella hanno contribuito a scrostarmi di dosso quella corazza che porto addosso nella vita di tutti i giorni, per tentare di passare indenne (o quasi) attraverso le storture dei nostri tempi. E così non importa più se usi gli stessi quattro vestiti per 12 giorni, se i capelli asciugati al sole prendono pieghe strane, se dopo aver condiviso lavori fisici sotto al sole ci si abbraccia con le ascelle che puzzano. Non compri quasi nulla, giusto un gelato o una birra in compagnia ogni tanto, il telefono può stare spento, perchè vuoi essere lì, in quel momento, a cucinare, a camminare fino alla spiaggia vicina, a giocare coi cavalloni insieme a quanti stanno condividendo con te questo pezzo di vita e se le onde rischiano di portarti via il costume, la cosa più semplice è levarselo del tutto, senza vergogna, nè timori, perchè le persone che ti sono intorno hanno gli occhi ripuliti da quelle malizie pruriginose tanto in voga nella nostra realtà quotidiana, in cui le tette vengono sbattute su tutti i cartelloni pubblicitari, ma si additano le donne che allattano negli spazi pubblici.

Il problema è qui, ora che sono tornata a casa, perché questa vita se prima era stretta, ora fa proprio male. E so che è necessario IL cambiamento, ma allo stesso tempo sento come sia velenosa questa sensazione di timore dell’incertezza che il ritorno alla città mi sta buttando addosso. Mentre ero via mi chiedevo come avrei fatto a mantenere la ritrovata vitalità, dopo averla cercata per mesi, una volta tornata a casa. E’ durissima. E’ chiaro che le cose debbano cambiare, ma non so ancora come. Le opzioni sono varie, le idee un po’ confuse, le energie sarebbero tante, ma la convivenza forzata coi miei me le sta riducendo al minimo. E’ incredibile come la vita là sia diversa dalla vita di qua, sembrano due mondi paralleli e ho la riprova definitiva di come questo sia un mondo fatto apposta per farci sentire in ansia e inadeguati. Giù ognuno poteva essere quel che era, con la sua storia, i suoi percorsi, la sua singolarità. Era normale non avere la macchina e ugualmente essere in viaggio da anni, fare l’autostop, improvvisare le destinazioni, farsi trasportare dagli eventi, guadagnare con quel  che si sapeva fare o tutt’al più vivere con lo scambio-lavoro, aver lasciato un posto sicuro per viaggiare, per fare esperienza del mondo, per trovare la propria felicità, passare i pomeriggi a suonare, o a fare sculture, o a meditare, fare yoga, andare al mare, pulire le spiagge, pulire i boschi, prendere arnie non per averne miele, ma solo per sostenere le api e con loro la fondamentale opera di impollinazione.

La vita può essere semplice, siamo noi a complicarcela infinitamente. Lo facciamo perchè siamo spinti dalle ansie che ci butta addosso la società in cui viviamo, certo, ma alla fine siamo noi che potremmo fare certe scelte e ne facciamo altre riempiendoci la testa di motivazioni che sono solo giustificazioni. Sappiamo che ci sono domande che non ci poniamo per paura delle risposte, che ci lamentiamo costantemente di ciò che non va, ma non riusciamo a staccarci dallo scoglio a cui siamo aggrappati, abbiamo paura di  affrontare il mare, l’ignoto, di comprometterci.

Sto provando a compromettermi: le scatole del trasloco sono ancora impacchettate. Alcuni progetti che mi legavano a questo posto li ho messi in stand by. E sto continuando a dire no al lavoro che ultimamente mi ha permesso di campare più degli altri lavori. Pare sia proprio il momento giusto per staccare le mani dallo scoglio e affrontare, finalmente, questo mare che mi aspetta pazientemente da tempo.

13 pensieri riguardo “Carte rimescolate

  1. Ciao Mari, questo post cade a pennello al ritorno dalle vacanze, ossia al rientro in gabbia dopo l'”ora d’aria” di libertà che è concessa a chi accetta passivo le storture assurde di questo sistema. Mentre digito sono in ufficio, in uno di quei soli tre giorni che ormai ora vi passo (gli altri due, il lunedì e martedì, lavoro da casa e non è un caso che la mia scelta sia caduta proprio su quei due… ih ih) C’è il sole, l’aria è frizzante, quasi fredda per contrasto con la bollente estate passata e sembra di sentire l’alito delle Alpi (fuori dall’ufficio, io mi muovo in bici. Ma per chi è in coda, credo sia impossibile). Per chi vive da queste parti la montagna è il punto di riferimento, per me in particolare rappresenta una fuga verso semplicità, genuinità, equilibrio. La montagna non è confortevole, può essere dura, ma non sono mai stato depresso, arrabbiato o infelice lassù. Un’armonia mi pervade sempre, in qualsiasi stagione. E capisco, almeno un po’, ciò di cui parli, anche perchè un viaggio in bici ha qualcosa in comune con un ecolovillaggio: il contatto con la natura, l’abbandono della solita prospettiva da ingranaggino del sistema per divenire un esploratore, una scheggia impazzita che va dove gli pare, il cambiamento di abitudini, la semplicità nel vestirsi, l’adattamento a condizioni elementari, il ritorno all’essenziale. Lo scoprire che faticare è anche bello se lo si fa con lo spirito giusto e che dopo c’è sempre un premio ad attendermi, che sia un paesaggio, un bosco ombroso, una fontana di acqua di sorgente, un ristoro, un incontro che mette il buonumore e che qui in città non si riesce neanche più a fare. Perchè sono tutti a frullare ed io mi scopro già diverso rispetto a qualche settimana fa, più stanco, più distratto, ma tutto sommato sto ancora resistendo. E’ veramente incredibile, come affermi tu, quanto la vita possa variare se ci si concede la possibilità di farlo… se ci si allena a farlo, se ci si butta, se si esercitano doti che il sistema, fiaccandoci, ci strappa via: la curiosità, l’attitudine al tentativo, il coraggio, la forza (fisca e morale), il gusto per il bello, il romanticismo, il contatto con la natura e con gli altri. Ci siamo condannati ad una società virtuale, dove tutto è troppo staccato dalla terra (anche e soprattutto fisicamente) che ci conforta e ci dona equilibrio, dall’origine, dal senso semplice e profondo. E quindi funzioniamo male, pensiamo male, agiamo di conseguenza in un circolo vizioso che richiede azioni eclatanti e nette per essere spezzato. Mi piacerebbe una volta provare l’esperienza di un ecovillaggio.

    In bocca al lupo, spezza le tue catene!
    Ciao!

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    1. Ciao Fabio!
      Grazie dell’augurio, che sto prepotentemente facendo mio!
      L’esperienza dell’ecovillaggio te la consiglio al 100%, io oltre a quello di mio cugino (in cui gioco in casa 🙂 ne ho visti un altro paio. Trovo che siano esperienze arricchenti non solo per poter sperimentare un altro modo di vivere, ma anche perché offrono la possibilità di conoscere una comunità fatta di persone che ad un certo punto hanno detto “Basta!” e si sono reinventate e nello scoraggiamento che a volte ci pervade anche la sola idea dell’esistenza di queste persone, delle loro storie e dei loro percorsi può dare molta forza. Poi guardare il sito di R.I.V.E (Rete italiana villaggi ecologici) per avere un’idea di quanti ecovillaggi ci sono, dove sono e come sono organizzati (non è un elenco completo, non tutti gli ecovillaggi aderiscono a quella rete, ma ce ne sono davvero tanti).
      Come scrivevo io almeno una volta all’anno scendo da mio cugino, ma nel nomadismo in cui mi sto immergendo difficile sapere ora quando sarà la prossima… in ogni caso se ti interessa posso fartelo sapere e se le date dovessero coincidere sarò felice di farti conoscere l’allegra ciurma 🙂
      Buon week end!

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      1. Sì mi piacerebbe! Teniamoci in contatto (a proposito, come faccio a mandarti una mail?). Stai facendo la cosa giusta; perchè dopo aver riflettuto, valutato, fatto esperienze se quello che senti è ancora questo, una voglia di libertà, di ricongiungimento con le cose semplici ma fondamentali, con la natura, non puoi essere nel torto (“torto” termine impreciso, preso a prestito da quelli che dividono tutto in giusto o sbagliato, prendilo con le molle).
        Penso a quanto mi sono fatto male in 10 anni per non aver agito con la decisione di cui pure sono capace e ritrovarmi ancora qui. Fra persone che non mi interessano veramente e con cui non sarò mai molto legato. Che si preoccupano più delle bollette o di lavorare che di vivere. Fra passioni sempre smorzate, mai vissute fino in fondo. Una vita tiepida. Anzi, agra per citare Bianciardi. L’ho capito a mie spese. Avevo capito molto (almeno i punti fondamentali) di tutto ciò a 25 anni ma non avevo il coraggio di pensare che si potesse cambiare davvero. Mi sono sentito tante volte in colpa se le cose non funzionavano e mi sentivo sempre responsabile, sbagliandomi. Avrei potuto buttare tutto all’aria e fare come fanno molti, ma il chissenefrega non era contemplato nelle soluzioni. Però non ho mai accettato le storture, la testa non l’ho chinata. Ho studiato, ho lavorato, ho pagato anche dazio, mi sono sacrificato non per il sistema, ma per assicurarmi delle mie capacità, dovevo dimostrarmi qualcosa, di valere e di non scappare. Ma ora basta. Ora sono vicino anche io alla svolta, la prossima primavera inizierò a sganciarmi con decisione dal sistema, la casa in campagna aspetta, una professione da freelancer è possibile. Lavorare per guadagnare quel che serve: il resto deve essere vita e crescita. Non voglio invecchiare senza crescere.
        Ciao!

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  2. Quello del dover dimostrare qualcosa è un problema che credo accomuni molti, anche io ad un certo punto mi sono chiesta se volevo una vita alternativa perchè davvero era quella la strada giusta per me o se la cercavo perché incapace di competere nella società contemporanea… Penso che ci sia un tempo giusto per fare le cose, ed evidentemente 10 anni fa non era il tuo tempo, così come non era ancora il mio. Farsi domande e soprattutto essere capaci di ascoltare le risposte, di farsi ispirare, di cogliere i segnali, di lasciare spazio alle avventure, al cambiamento, alle esperienze, è fondamentale. A volte può essere frustrante, soprattutto se si è soli. Per quanto io sia convinta che l’equilibrio sia da cercare dentro e non fuori, credo allo stesso tempo che la comunità di riferimento (virtuale o reale) sia fondamentale, perché certe battaglie sono dure e a volte le energie mancano. E sono proprio gli amici (quella che io definisco “la famiglia che mi sono scelta”) che ci sanno dare la carica e ci permettono di riprendere fiato quando l’orizzonte si fa cupo. A volte la comunità di riferimento cambia, così come cambiano le nostre ambizioni. Poteva andar bene 10 anni fa, ed ora non più, ed è giusto così: lasciamo fluire e stiamo nella ricerca, qualcosa (qualcuno) arriva.

    Ps. ti scrivo io in privato, ho la tua mail visibile. A presto!

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    1. Del resto non credo che equilibrio voglia dire anche indipendenza o autosufficienza assolute. Hai ragione quando dici che “certe battaglie sono dure e a volte le energie mancano”. E non si può spendere troppe energie solo per mantenere salda la propria individualità e questo potrebbe essere il motivo per cui la maggior parte cede: trovando effettivamente svantaggioso combattere, si adegua. L’idea invece di fare le valige è scartata a priori. E invece uno dovrebbe vivere in un ambiente adatto al proprio equilibrio e andarselo a cercare. Penso che, nel momento in cui molti si facessero le domande giuste e si mettessero alla ricerca delle risposte. si scoprirebbe allora che gli ingredienti di tale equilibrio sono più o meno gli stessi.

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  3. Pingback: Tra un anno
  4. Ciao cara! Sono contenta di essere finita qui stamattina 🙂 Amo tantissimo Matera e ci torno ogni volta che posso, anche io ho sognato di avere una casina tra i sassi, sai. 🙂
    Ho vissuto esperienze comunitarie simili a quelle che racconti agli scouts, da ragazza, senza luce elettrica, lavando le stoviglie con la cenere, facendo pipì nei boschi. Adesso che sperimento la vita di contrada in campagna, ma siamo solo io e il mio compagno, mi ritrovo in un ambiente simile al Giardino della Gioia. Qui c’è la cucina solare, si possono ( e ne sono felice) utilizzare solo prodotti eco e bio, mangiamo biologico dall’orto o dal gas, ci scaldiamo con la stufa a legna. Sono felice di questa nuova dimensione.
    Un abbraccio e rimaniamo in contatto.

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  5. “La vita può essere semplice, siamo noi a complicarcela infinitamente. Lo facciamo perchè siamo spinti dalle ansie che ci butta addosso la società in cui viviamo, certo, ma alla fine siamo noi che potremmo fare certe scelte e ne facciamo altre riempiendoci la testa di motivazioni che sono solo giustificazioni. Sappiamo che ci sono domande che non ci poniamo per paura delle risposte, che ci lamentiamo costantemente di ciò che non va, ma non riusciamo a staccarci dallo scoglio a cui siamo aggrappati, abbiamo paura di affrontare il mare, l’ignoto, di comprometterci.”

    Leggo queste cose un anno dopo. E continuo a pensare di aver fatto un incontro bellissimo, trovandoti! 🙂

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