Il troppo

img_20160915_160052
Un cedro come casa

“Il sogno di Francesco” è stato un film che mi ha disturbata. Sono uscita dal cinema come infastidita, ma non riuscivo a focalizzare bene quale fosse il centro del mio fastidio. L’interpretazione a mio avviso “eccessiva” di Elio Germano? Quelle prime inquadrature coi frati che sembrano indossare dei sandali Birkenstock? Le inflessioni dialettali poco realistiche?

No, era altro. E oggi credo di averlo messo a fuoco.

Questo è un film che parla di compromessi. Inizia con un Francesco che si sente rifiutare da papa Innocenzo III la sua “Regola”: affinché la sua congregazione venga riconosciuta dalla Chiesa, Francesco deve eliminare dal testo che ne descrive cuore e obiettivi alcune parti. Diversamente, lui e i suoi confratelli potranno essere accusati di eresia e venir perseguitati.

img_20160915_160128

Il film si sviluppa su una tensione continua creata dall’oscillazione tra due scelte: quella pura, di chi vuole mantenere la Regola così com’è, pronto ad accettare la conseguente condanna e persecuzione da parte della Chiesa, e quella invece che vira verso il compromesso, che rinuncerebbe ad alcune delle parti più importanti del testo (come l’autorizzazione alla disobbedienza, la povertà come scelta di vita) in cambio dell’accettazione da parte dell’Istituzione e della possibilità di tutti i fratelli di non vivere più nella paura di venire perseguitati.

Il cuore del film ruota intorno ad un momento: quello in cui Elia, il frate che vorrebbe che Francesco accettasse i cambiamenti proposti per poter proteggere la congregazione dalle accuse di eresia, propone ai fratelli di possedere un piccolo appezzamento di terra per coltivarvi un orticello, in modo da poter meglio aiutare i poveri con i frutti di questo lavoro. Qui i fratelli si dividono in maniera accalorata, tanto da venire alle mani, tra chi è d’accordo con Elia e chi ritiene invece che questa possibilità sia in totale contraddizione con la scelta di non possedere nulla, perché è proprio nel passaggio dal “nulla” al “qualcosa” che si viene meno ai propri intenti e ci si incammina sulla strada della proprietà privata, responsabile di aver reso poveri i poveri e ricchi i ricchi.

E proprio questo è il fastidio che ho provato. Il fastidio del suono della voce di chi ha ragione, suono che mi è martellato in testa per giorni perché ultimamente uno dei miei lavori mi sta stressando eccessivamente. E mi chiedo: perché sto permettendo a questo lavoro di cambiarmi l’umore? In base a cosa devo vivere esperienze che poi riporto nella mia vita privata, ammorbando chi mi sta intorno con le mie lamentele? Qual è l’unica ragione per cui sto portando avanti tutto questo? E la risposta è una sola: i soldi. O meglio: l’idea di poterne avere in maniera costante.

img_20160917_130955

A  metà settembre sono tornata in Grecia in quello che è diventato uno dei miei posti del cuore. Ogni giorno facevamo due ore di camminata andata e ritorno  tra pietre, arbusti e poi sabbia per giungere a questa spiaggia. Stavamo tutto il giorno nude sotto i cedri, o nell’acqua cristallina, divorando libri, ascoltando onde e cicale, chiacchierando di massimi sistemi e di minchiate, osservando i tanti pesci che nuotavano intorno a noi, contemplando i colori cangianti, sentendo addosso aria, acqua, sole, sabbia e roccia. Respirando. Dormendo. Guardando. Pensando.

img_20160916_083338
Il sole che scende a ovest…

Sento forte la tensione del compromesso tra gabbia e libertà. Tra rispondere per le rime e mordermi la lingua. Tra il piacere della “sicurezza” economica (mettetene mille di virgolette, non c’è nessuna sicurezza al momento)  e l’impressione che ci sia qualcuno che ritenga di aver comprato me, piuttosto che i miei servizi.

Mi sento in un vortice da cui è molto difficile scappare. Quasi un anno fa ho smesso di avere un’auto per poter così abbattere i miei costi e non dover essere obbligata a fare lavori che non volevo più fare solo per far fronte alle spese. Però, il lavoro che mi sto costruendo ha spesso bisogno di una macchina, anzi: sta crescendo proprio perché riesco a diffondere i miei progetti nei posti più lontani dalla città, in cui l’offerta culturale è minore e anche certi tipi di informazioni fanno fatica ad arrivare.

img_20160915_192935
e la luna che sale a est, nello stesso istante

Quei cinque giorni nel mio posto del cuore mi ricordano quanto poco mi serve per essere felice, quante cose sono superflue. Me lo hanno insegnato tante altre esperienze, la frugalità dello scoutismo, le esperienze negli ecovillaggi, i periodi di vita in condivisione. Ma allo stesso tempo ho imparato anche il piacere di non dover stare sempre a fare i conti per tutto, il piacere di non dover pensare ai soldi e poter offrire una cena a un amico, regalare quel libro a quella persona, comprare senza troppi pensieri un paio di biglietti per andare a trovare un’amica, pagare il mio trimestre di yoga. Quanto è difficile trovare giusto il compromesso tra il poco e il troppo, individuare quel troppo che obbliga poi a subire stress inutili per essere mantenuto.

Qual è il mio troppo? Sono in grado di riconoscerlo?

E’ questo che mi ha dato fastidio del film, la risposta che dà alla mia domanda: anche quell’orto è troppo. Anche se lo usi per dar da mangiare ai poveri. E’ troppo.
Un risposta che alle mie orecchie è risuonata come “Non illuderti: per quanto poco avrai, ci sarà sempre un prezzo da pagare”.

22 pensieri riguardo “Il troppo

      1. A volte, come in questo caso, il non non è sottrattivo ma additivo, nel senso che la tua non è solo una recensione. Non so se riesco a spiegarmi (disse il paracadute al paracadutista …) 🙂

        Piace a 1 persona

  1. Ciao Mari, mi hai trasportato su quelle spiagge. A volte il confine fra libertà e condizionamento è sottilissimo, basta poco per ridursi ad essere ingranaggi del meccanismo che noi stessi abbiamo creato, che avrebbe dovuto, nei nostri intenti, permetterci chissà cosa ma che in realtà ci tiene legati a sè rendendoci schiavi…
    Ma fino a quando ci si interroga, nulla è perduto, credo.

    Piace a 1 persona

  2. Ciao Bella,
    Sono appassionata di Francesco (forse perchè sono nata proprio il suo giorno) e fossi stata in lui per una sorta di idealismo suicida avrei detto: stocazzo, perseguitatemi pure ma la mia regola non scenderà a compromessi.

    Capisco bene e conosco bene anche le questioni tue di cui parli. Il fastidio…di dover sottostare a dei compromessi…contrapposta alla pace della semplicità e del possedere poco. Lo stress per poter avere la tranquillità economica contrapposto alla pace e la serenità di una vita basata sui propri ritmi ma soprattutto, il tempo e lo spazio e le energie per vivere e fare altro oltre a sgobbare per la pecunia.

    Non sono però d’accordo con l’affermazione di chiusura anche se capisco che è una cosa che può venire fuori spontanea quando qualcosa ci esaspera. Tuttavia questo è proprio quel genere di cose che pensiamo di dirci così per scherzo e purtroppo invece ci crediamo davvero, così tanto da trasformare un’esclamazione di esasperazione in una profezia che si autoavvera.

    Ne avevo anche io una simile, che suonava così: “Qualsiasi cosa di bello ti succeda aspettati di pagarlo caro, qualsiasi cosa tu voglia la pagherai sempre il doppio se non il triplo degli altri.” da quando me ne sono liberata sostituendola con un molto “ducesco” ma più motivante: “se il destino sarà contro di me, peggio per lui” la mia vita è sensibilmente cambiata: il mio approccio alla vita è cambiato e così anche le mie azioni e le conseguenze delle mie azioni.

    Non ho ancora capito che lavoro fai ma se è quello che vorresti per i prossimi anni con questi livelli di stress non durerai molto e io credo che nessun lavoro creativo e professionale può essere svolto a regola d’arte in queste condizioni.

    C’è chi si rassegna e si dice (e dice agli altri)”così vanno le cose non sarò io che potrò cambiarle”, c’è anche chi sotto pressione e iperstressato funziona benissimo, io no e dico: “e sti cazzi! io sono la professionista e se vuoi lavorare con me queste sono le condizioni di vendita e servizio altrimenti ciccia”. Sto scrivendo proprio queste in questi giorni per il mio sito e tra le condizioni preliminari e imprescindibili… le cosiddette “Conditio sine qua non” ho messo tranquillamente che non lavoro per sopravvivere ma per vivere, che starmi col fiato sul collo è il modo migliore per NON avere da me una buona prestazione, che sono permesse solo poche modifiche e che la creativa sono io e non faccio l’esecutivista delle idee altrui” il mancato rispetto di queste condizioni potrebbe portarei a rescindere il contratto unilateralmente da parte mia e a trattenere l’anticipo già ricevuto.

    Dici bene: il tuo committente ha pagato per i tuoi servizi e non per la tua vita…scusami se posso sembrare saccente perchè sicuramente percepisco che tu sappia stare in mezzo alle persone sicuramente meglio di me (sono un’orsa misantropa)…tuttavia se non metti tu delle regole non saranno certo gli altri a rispettarle. I soldi possono comprare quasi tutto ma non comprano il buonumore, non comprano la felicità, non comprano il relax e la serenità perchè sono beni senza prezzo e che possono solo provenire da dentro di noi. Trova la formula giusta e magari non subito ma con un buon passaparola sicuramente raggiungerai l’agognato benessere economico senza mettere a rischio il tuo umore e la tua sanità mentale e il tuo rapporto con le persone vicine. questo è l’unico compromesso che puoi fare con il tuo lavoro ma fidati che dovrai attendere meno di quanto pensi perchè da azione a reazione… la crescita è spesso esponenziale.

    Non c’è storia per questo compromesso. Non devi dare spiegazioni a nessuno su come tu funzioni rispetto ad altri e tanto meno se gli altri accettano condizioni indecorose non per questo tu ti devi piegare. La tua regola esiste in quanto tu esisti e sei esistita dalla tua nascita ad oggi…i clienti non sono la chiesa a cui ti devi adeguare se non vuoi essere perseguitata per ciò che sei e in cui credi e tanto meno ignorata. I clienti pagano i tuoi servizi che sono una parte della tua vita….e basta. Come e quando fai le cose, anche in un progetto che può durare mesi con anche delle milestone di revisione, sono affari tuoi e non del cliente. Tu potresti anche avere l’esigenza di salire nuda su un’albero con il tuo laptop o lavorare vestita da paperella di gomma: se rispetti le esigenze del cliente (che non comprendono essere vittima delle sue manie di controllo), le milestone e presenti un lavoro a regola d’arte, chi ti può dire qualcosa?

    Anche perchè ho già visto la storia di questo compromesso: lavorerai come una schiava e si avrai i soldi certo… ma non avrai più tempo per vivere… per poterti permettere di andare a trovare un’amica, non avrai più tempo per andare ad una mostra e per bighellonare a zonzo per le città o prendere il sole nuda sulla spiaggia in grecia, leggendo libri, il lusso di stare a sentire le cicale.

    Scusami per il papocchione ma questo discorso mi coinvolge perchè intorno a me ho visto troppe persone distrutte da questi compromessi, per quanto riguarda le credenze limitanti come già detto ne sono stata vittima anche io e sono giunte a bloccarmi per molti anni…quindi boh… non avere paura di essere te e di imporre le tue condizioni. Rispetta e fai rispettare la tua regola, perchè quello che perderesti “vale/i molto di più di un salario garantito” (cit. CCCP)

    Piace a 1 persona

    1. Ciao cara, grazie! Mi mancavano i tuoi papocchioni 🙂 Concordo perfettamente sulla profezia autoavverante: ne conosco e riconosco il potere, lo vedo costantemente intorno a me, per questo cerco sempre di stare attenta alle parole, alle definizioni. Ad esempio correggo spesso le persone intorno che parlandomi di lavoro dicono “Il mio capo…”. Eh, no! Non è il tuo capo, è il capo dell’azienda in cui lavori, è diverso 😉
      Per quanto riguarda il mio lavoro se vorrai te ne parlerò profusamente in privato, o virtualmente o chissà, a Torino, visto che mi a sorella è tornata a viverci è probabile una mia incursione prima o poi. Ma la sostanza è che uno è il lavoro per cui mi sto spremendo e sto investendo, che è tagliato proprio su di me perchè ha tanti risvolti che mi permettono di impegnare le mie qualità in ambiti anche diversi, senza il rischio della noia e venendo continuamente stimolata. L’altro è quello che mi sta assicurando in questi mesi un’entrata fissa. Sul primo finalmente le cose si stanno aprendo e tanto, ma proprio ora ci stanno piovendo addosso i mille problemi della fiscalità e burocrazia e italiana, per cui se pure muovi due soldi ti trattano come se fossi l’A.D di Google. E il fatto di avere una collaboratrice sempre pessimista non aiuta i momenti di down… Dall’altro lato c’è il lavoro che mi ha permesso un’entrata fissa, ma non solo : anche la serenità di pensare e sperimentare sul mio lavoro primario senza ansia eccessiva, anzi con una certa serenità, dovuta al fatto che cmq in qualche modo la pagnotta a casa l’avrei portata.

      La premessa a tutto questo (che in effetti avrei dovuto fare prima) è che io sono assolutamente vaccinata rispetto ai lavori in cui lavorare come una schiava, mi sono licenziata per situazioni molto meno orrende che lo “schiavismo”, ho rinunciato a lavori che mi davano sicurezza economica ma non mi rendevano felice. E l’ho potuto fare proprio perchè non avevo un orticello su cui pagare un mutuo, dovevo pensare solo a me stessa e se anche fossi finita a mangiare croste di pane non sarebbe stato un problema. Il problema avviene quando grazie al frutto del tuo lavoro inizi a vedere i risultati e quindi sei in quella fase mista di speranza e timore di delusione, che sei felice ma non lo dici ad alta voce perché temi che l’inciampo sia dietro l’angolo. E gli inciampi possono essere vari, come un sistema di leggi che ti tarpa le ali, o un lavoro che ti fa molto comodo anche se ti piace fino ad un certo punto e su cui ti chiedi quanto e come fartelo andar bene, e ragioni sui compromessi e ti domandi se nella visione a lungo termine non sia forse il caso di trovare una mediazione dentro di te. La mia Regola (mi è piaciuta la tua espressione) rimane tale, non sono arrivata, sono in cammino verso quella Regola. Ma forse in questa tappa posso accettare cose in apparente contraddizione con essa in favore di un percorso che ho ben chiaro in mente? Posso accettare un po’ di stress, dei rapporti sbilanciati se sono funzionali al mio progetto? E allo stesso tempo mi dico: sono funzionali al progetto o rispondono a quel “troppo”? Che poi è chiaro che il mio troppo da molti viene considerata sufficienza, ma è proprio questo ragionamento che ci porta a volere sempre di più, no?

      "Mi piace"

      1. ah bene ho capito bene la situazione…adesso. concordo molto sui motivi che possono portare a lasciare un lavoro, soprattutto se causa malumore e stress: proprio recentemente ho partecipato ad un colloquio per fare la biker di foodora ma non mi hanno mai richiamato e poi i miei possibili futuri colleghi sono entrati in agitazione sindacale rivelando una situazione tutt’altro che rosea…di sfruttamento ma anche di stalking e di ripicche becere per i biker che alzavano la testa con riduzione dei turni e purtroppo anche bloccare l’accesso alla app impedendo di poter lavorare. Sto tirando un sospiro di sollievo pensando a cosa ho evitato (più o meno come dopo aver evitato il matrimonio 8 anni fa).

        Trovo che le domande che ti sei posta siano molto interessanti…e la loro risposta potrà rivelare qualcosa di nuovo su te stessa. secondo me è importante porsi le domande giuste oltre che rispondere correttamente. Hai anche ragione circa il fatto di non avere ancora una regola ma che ci stai arrivando, alla tua regola. Questo mi fa riflettere e mi ispira un post (che vedrai a breve) perchè anche io sento di essere nella stessa fase.

        Personalmente non so come risponderei alle tue domande: so bene cosa vuoi dire quando parli della “serenità di pensare e sperimentare sul mio lavoro primario senza ansia eccessiva”… e purtroppo conosco anche bene le gabelle e le questioni fiscali e burocratiche.
        Certamente se hai bene in chiaro il tuo percorso qualche deviazione non uccide anzi, potrebbe addirittura aprirti a nuove realtà e nuove soluzioni. Stress e rapporti sbilanciati invece non saprei, credo che un lavoro di appoggio non debba mai e poi mai invadere troppo la tua vita. E’ di appoggio, non è imprescindibile che ti debba piacere, non è necessario che tu debba stringere rapporti amichevoli con i colleghi, ma soprattutto la sua influenza deve rimanere confinata a ciò che fai per quel lavoro e lo stipendio che porta e non oltre. Soprattutto se genera malumore e stress.
        Per finire, pur comprendendo bene cosa intendi con quel troppo, non possiedo personalmente questo concetto. Come te faccio una vita spartana e ci vuole davvero poco per rendermi felice. Come te però ho tuttora l’angustia dei problemi economici e di essere dipendente da mia mamma (ora solo delle bollette)… e questo genere di pressioni e di ansie di certo non fa bene alla mia creatività, che sta alla base del mio progetto.

        Tuttavia…se ti stai dirigendo verso la tua Regola potresti anche decidere di non cadere in tentazione del “troppo” rimanendo sul tuo percorso di spartanità e quindi mettendo da parte tutti i soldi in più…per finanziare il tuo progetto, per costituirti un fondo per gli imprevisti…oppure per permetterti il lusso, quando finirà questo attuale lavoro d’appoggio, per scegliertene uno anche migliore…meno stressante e non equilibrato.

        P.s. che ansia la tua collaboratrice. ma credo che se è messa così se ne andrà da se, tuttavia non ignorare la sua influenza e è molto più profonda di quanto tu possa pensare.
        P.p.s. Sarei molto felice di incontrarti quando verrai a trovare tua sorella e sentire del tuo progetto 🙂

        "Mi piace"

  3. L’equilibrio non è un punto di arrivo, ma il cammino che una persona tenta di fare per tutta la vita. Non c’è niente di definitivo, è tutto un mutare. Oggi mi sacrifico per pagare le bollette, domani mi godo lo splendore della spiaggia. L’importante è che tu non stia in spiaggia pensando alle bollette ed al lavoro pensando alla spiaggia!!! Questo ti genererebbe solo stress. Vivi il momento, con consapevolezza e gratitudine, penso che sia l’approccio migliore. Buona giornata.

    Piace a 1 persona

    1. Cara Mattinascente, bella la prospettiva dell’equilibrio non come una cosa statica, ma come modo di concepire la propria dinamica. Sì, è vero: non c’è nulla di definitivo. Vivere il momento è un ottimo consiglio, ma a volte pur sapendo cosa si dovrebbe fare, riuscire a farlo è davvero complicato. Io li chiamo “allenamenti”, quei momenti in cui ci si sforza con la mente di arginare i cattivi pensieri, per non farli sfociare fuori dalla loro zona di appartenenza, inondando situazioni felici che non hanno nulla a che fare con loro. A volte ci riesco, a volte no. Buona giornata a te!

      Piace a 1 persona

  4. Leggendoti, mi viene in mente che la vita è un bizzarro compromesso nel momento in cui vieni al mondo.
    Lei, la vita, ti guarda da quel pertugio e ti sussurra “tho, guarda che cosa c’è qui fuori. Che poi” continua “non preoccuparti, si diventa vecchi lì in fondo”.
    Ed è così lontano che neanche ci fai caso.
    Poi, la voce della vita, come in una maschera, muta nella abbondanza di informazioni, cose, cibo, concetti, paure, vittorie. E a tutto questo, la vita attribuisce una moneta. Una per ogni passo. Per ogni respiro.
    Una dopo l’altra, fino a convincerti non se ne possa più fare a meno.
    Eppure, abbiamo dimenticato che, appena nati, era un semplice sussurro che ci spiegava quale fosse il traguardo. Nasci, invecchi.
    Quel che sta al centro è inderogabilmente nostro.
    Ti leggo e penso:, Vivila, così come la pancia ed il petto ti dicono. Che il resto, se vuoi, è solo un vestito in più in un armadio.

    Kojo Akusa feat. Lesego – Come & Play (John Lundun Exotic Remix)

    Piace a 1 persona

    1. Nonostante il mio approccio razionale a tante cose, per quel che riguarda la felicità non riesco a farmi violenza (o almeno non più di tanto 🙂 ). Il corpo mi parla, lo ascolto e seguo quella strada, che non sempre è chiara, a volte è un semplice allontanarsi da ciò che non va. La pancia, il petto, mi chiedo in questi momenti: hanno sempre ragione? Come distinguere le sensazioni? Quel che mi dice la pancia (mandali affanculo) è necessariamente giusto? Oppure: coltivare un compromesso è necessariamente giusto? E ancora: meglio ragionare sulle cose a mente lucida o stare dentro il surriscaldamento dei sentimenti e prendere decisioni in quel modo? Perché ieri quel che pancia e petto mi dicevano era: rasati i capelli, parti per un viaggio, apri la partita iva, affitta una casa in appennino, comprati una macchina anche se non hai uno stipendio, compromettiti ancora come hai già fatto tante volte e il risultato arriverà. Oppure vattene in un monastero per un po’ dove poter essere lasciata in pace. 🙂

      "Mi piace"

  5. Che dire.
    Io andrei in un monastero rasandomi i capellj, comprerei a distanza di settimane l’auto usata (sicuramente una diane 6) parcheggiata nel capanno del fattore li di fianco.
    Poi, tra silenzi, ricordi di preghiere ed eco di canti latini, partire.
    Non so, io mi sento già meglio.
    Sai che jung ti direbbe che il caso non esiste? Lo sai, vero?
    Rosset & manyus – carribean queen (shane d remix)

    Piace a 1 persona

  6. Certo, ci crederemmo entrambi.
    Perché, il caro Carl, non farebbe altro che scoprire un pensiero già in essere.
    “Il caso, non esiste”.
    Sei tu che, pur non dicendolo, lo sussurri da un po’.
    Io, d’altronde, lo sto urlando.
    Lui, Gustav, unicamente annuirebbe un po’; con gli occhi altrove, lanciati in un punto remoto, a cercare malinconicamente l’odore di una psicosi che disegna simboli nell’aria.
    Diane 6. Fidati.
    Kojo Akusa feat. Lesego – Come & Play (John Lundun Exotic Remix)

    "Mi piace"

    1. A volte temo che crederlo non porti altro che illusioni. In alcuni momenti felici mi è parso evidente che il caso non fosse un caso. Altre volte mi pare evidente che siamo noi a dare significati a cose di per sé casuali. Perché ci conforta l’idea di un disegno, ci piace leggere su facebook quelle massime che dicono “Se qualcosa deve accadere, accadrà”.

      "Mi piace"

      1. Le chiami illusioni?
        No.
        No, Mari.
        Sai che io le chiamerei speranze?
        D’altronde, il caso non è altro che il frutto del nostro convincimento, della nostra volontà, del nostro disperato bisogno di respirare.
        No.
        Non è l’investire di significato un momento.
        Piuttosto, volere che quel momento, così tanto desiderato e costruito, possa sempre, nell’attimo in cui lo vivremo, darci e offrirci meraviglia.
        Per me, sempre diane 6!

        "Mi piace"

Lascia un commento